IL TRIBUNALE

    Nell'ambito  del  procedimento penale n. 3121/2003 R.G. Tribunale
di Brescia risulta imputato Sgarbi Vittorio in ordine al reato di cui
agli  artt.  61,  n. 10,  e  595,  c.p.,  in relazione all'ipotizzato
connotato  diffamatorio  delle  dichiarazioni  dallo  stesso  rese in
occasione  della  trasmissione  televisiva  «Sgarbi  quotidiani», dal
medesimo  condotta,  e andata in onda il giorno 24 febbraio 1998, nel
corso  della  quale,  riferendosi  a  magistrati  della Procura della
Repubblica  presso  il  Tribunale di Milano - segnatamente Di Pietro,
Davigo,  Borrelli  e  Colombo - in concomitanza con l'apparizione sul
video  delle  immagini di Gabriele Cagliari, indicava gli stessi come
«gli  uomini che lo hanno indotto ad uccidersi... che lo hanno spinto
al  suicidio»,  con  implicito  riferimento  alla persona di Cagliari
stesso.
    Nel  giudizio si sono costituiti parte civile Davigo Piercamillo,
Colombo Gherardo e Borelli Francesco Saverio.
    Nel corso del giudizio la difesa dell'imputato, ancora nella fase
degli  atti  preliminari al dibattimento, rammentata la condizione di
parlamentare  dell'assistito, ha chiesto, in applicazione dell'art.3,
della legge 20 giugno 2003, n. 140, che il giudice emetta sentenza di
proscioglimento  ex  art.  129,  c.p.p.,  ovvero, in via subordinata,
disponga la sospensione del processo con trasmissione degli atti alla
Camera  di  appartenenza  del  parlamentare  al fine di consentire la
propria  deliberazione  in  ordine  all'applicabilita'  dell'art. 68,
comma 1, Cost.
    In  ordine alla prima richiesta, non ritenendo di potere giungere
ad  immediata determinazione, le parti sono state invitate a svolgere
osservazioni  in  ordine alla non manifesta infondatezza di questioni
di  legittimita'  costituzionale.  Le  parti  civili  e  il  pubblico
ministero  hanno  sollevato la questione con riferimento ai parametri
di cui agli artt. 3, 24 e 68 Cost.
    La  disciplina  in  commento  prevede  un  sindacato da parte del
giudice,   al   fine   di   pervenire  all'immediato  proscioglimento
dell'imputato,  sul presupposto della verifica circa la riferibilita'
della   condotta   contestata  all'attivita'  del  parlamentare,  ivi
compresa  quella  attivita'  che  si ritiene, comunque, connessa alla
funzione pubblica: in tale senso pone sotto diversi profili questioni
in  ordine  alla conformita' ai parametri costituzionale dell'art. 3,
comma 1, legge cit.
    Sotto   un   primo   profilo   si   dubita   della   legittimita'
costituzionale  dell'art.  3,  comma 1, nella parte in cui prevede il
limite      all'esercizio      della     giurisdizione     costituito
dall'insindacabilita'  della condotta del parlamentare, oltre che per
l'attivita'   propria   dell'esercizio  della  funzione  parlamentare
(«disegni  o  proposte  di  legge,  emendamenti,  ordini  del giorno,
mozioni  e  risoluzioni» «interpellanze e interrogazioni»), per «ogni
altra  attivita'  di  ispezione,  di  divulgazione  di  critica  e di
denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare», ponendosi
la  disciplina  in  contrasto  con  l'art.  68, comma 1, Cost., sulla
scorta  della  lettura  che  costantemente  il giudice delle leggi ha
fornito,  fissando  una  netta  censura  tra  le  dichiarazioni  «che
fuoriescono  dal campo applicativo del diritto parlamentare e che non
siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di
funzioni  parlamentare»  (C.  cost.,  sent. 17 gennaio 2000, n. 11) -
come  tali  sindacabili,  e  quelle  che,  invece,  tali caratteri di
inerenza  all'esercizio  delle  funzioni  parlamentari  presentano e,
quindi, si sottraggono al sindacato giurisdizionale. E' chiaro che la
estensione  alle  attivita'  connesse  postula,  al contrario, che le
opinioni  espresse  in  sede  diversa  da  quella  parlamentare  e in
attivita'  estranee  a  quelle  tipizzate dal «diritto parlamentare»,
siano  munite  della  prerogativa  dell'immunita',  in  quanto  siano
espressione  dell'attivita'  pubblica  e  politica  del parlamentare,
secondo  un'interpretazione  gia'  avvalorata  da  alcuni  precedenti
giurisprudenziali  della  Corte  di  cassazione  -  gia' citati dalla
difesa dell'imputato (tra gli altri Cass. pen. Sez. V, 3 maggio 2002,
n. 125,  Pres.  Lacanna), per altro contrastati da recedenti di segno
opposto  -, che prescinde dalla esistenza di un atto parlamentare, ma
sia,  comunque, riconducibile, alla sfera dell'attivita' politica del
parlamentare.
    Ebbene,  e'  proprio, sotto questo particolare aspetto, alla luce
della  ricordata  interpretazione offerta dalla Corte costituzionale,
che  appare  giustificato  dubitare  della  conformita'  all'art. 68,
Cost.,  della  disciplina  in  esame,  nella  parte  in  cui  prevede
l'insorgere  della  causa di insindacabilita' delle opinioni espresse
dal  parlamentare  in occasioni di attivita' «connesse» alla funzione
pubblica.  Appare,  cioe', non conforme al principio ispiratore della
norma  costituzionale  consentire  che  ogni espressione di contenuto
latamente  politico in quanto proveniente da un membro del Parlamento
sia  coperta  da  immunita': la norma costituzionale, invero, lontana
dall'istituire  una  forma di «privilegio personale» (C. cost., sent.
n. 417/1999)   in   favore   del   soggetto   investito  del  mandato
parlamentare,  assicura,  invece,  che  nell'esercizio dell'attivita'
parlamentare,  e,  quindi,  nell'attuazione delle prerogative proprie
della  funzione,  il  membro del Parlamento non subisca alcuna forma,
pure  se  indiretta,  di  interferenza  con  detta attivita'. In tale
prospettiva,  in  conclusione,  va  intesa l'estensione all'attivita'
extraparlamentare  in quanto espressiva dell'attivita' interna e solo
di  questa,  il cui spettro di applicazione, quindi, assume caratteri
limitati e determinati, rispetto all'ampia dizione dell'art. 3, comma
1,   nel   quale   il  riferimento  alla  connessione  alla  funzione
parlamentare  consente  di  dare  ingresso  a situazioni, che pure se
espressive  di  un  rilievo  pubblico  e  politico,  sono  del  tutto
svincolate dall'effettivo esercizio del mandato parlamentare.
    Un'interpretazione  della  disciplina ora considerata che estenda
ad  ogni  espressione in senso lato politica, come tale connessa alla
funzione   parlamentare,  vulnererebbe  sotto  ulteriori  profili  la
disciplina  costituzionale,  non  facendosi  carico  di  contemperare
l'attuazione,  operata  con  la disposizione ricordata, del principio
affermato  dall'art.  68, Cost., con principi di rango costituzionale
primario  quali quelli affermati dagli art. 3 e 24, Cost., sottraendo
alla  persona  offesa la possibilita' di tutelare le proprie ragioni,
anche di natura civilistica, non potendosi porre alcun discrimine tra
opinione  su  fatti  e  comportamenti  di  rilevanza pubblica ed atti
propri della funzione parlamentare.
    Non   pare  dubbio  che  le  questioni  prospettate  assumano  il
carattere  della rilevanza nel giudizio in corso da un lato, essendo,
in  fatto,  ipotizzato  che  Sgarbi Vittorio abbia proferito le frasi
oggetto  dell'imputazione  nel  corso  della trasmissione televisiva,
senza  che  sia stata allegata l'esistenza di alcun atto parlamentare
identificabile con la stessa, dall'altro, postulando la lettura della
norma  la  necessaria  estensione  dell'immunita'  a  situazioni  non
comprese  nell'ambito  dell'art. 68, Cost., secondo l'interpretazione
sopra  richiamata,  e,  quindi,  in caso di accoglimento di una delle
questioni,   l'impossibilita'   di   pervenire   alla   pronuncia  di
proscioglimento invocata dalla difesa dell'imputato.